Scala dei piani 

La frequenza con cui un regista sceglie di ricorrere a ciascun tipo di inquadratura (primissimo piano, primo piano, mezzo primo piano, mezza figura, piano americano, figura intera, campo medio, campo lungo, campo lunghissimo) è ovviamente un'altra delle principali variabili che ne compongono lo stile di messa in scena. Si tratta però anche di una variabile spesso intimamente interconnessa con l'ASL, giacché di regola, come è facile intuire, i film composti di long takes tendono a prediligere inquadrature di una certa ampiezza, mentre un montaggio molto frammentato per contro ricorrerà probabilmente a piani più ravvicinati: l'equazione è in fondo quella fin troppo ovvia fra ampiezza dell'inquadratura e relativo tempo di lettura.

BCU CU MCU MS MLS LS VLS
ASL 0 0 12,6" 57,4" 44,7" 69,7" 21"
Per la scala dei piani adottata si rimanda all'approfondimento. Fonte: CineMetrics.

Come accennato nella premessa, inoltre, questo è uno dei tipici ambiti in cui l'analisi non dovrebbe assolutamente fare a meno di modelli statistici e comparativi, giacché soltanto così è possibile calcolare con buona approssimazione la probabilità che, in ogni scena, compaia un certo numero di volte un determinato tipo di inquadratura. È in questo campo, infatti, che le variazioni espressive considerate da Salt si fanno ancor più interessanti e permettono una riflessione sensata sulla distanza di ripresa (closeness of shot), come nel caso già citato di Liebelei.
Dando però per scontato che, ad esempio, i campi lunghi siano più diffusi nelle scene in esterni e i piani ravvicinati siano invece più frequenti negli interni, il passo successivo, per cogliere davvero l'originalità (o la non originalità) del regista, non può che essere di tipo comparativo: stabilire quale sia, in linea di massima, la frequenza (es. 20%) di un determinato tipo di inquadratura (es. primo piano) in un genere (es. il melodramma), per poter poi, come nel caso di Letter From an Unknown Woman, cogliere eventuali deviazioni dalla norma. In questo senso, uno studio della scala dei piani di un film è praticamente impossibile senza avere a disposizione un'ampia campionatura di film simili e/o dello stesso regista.
Anche da questo punto di vista, quindi, una compiuta analisi stilometrica di Zangiku Monogatari si rivela sostanzialmente impraticabile: sia per la mancanza di punti di riferimento per uno studio comparativo sia per la scarsa attendibilità dei metodi statistici (il numero delle inquadrature di questo film non è sufficiente). Ciò non toglie che una rappresentazione grafica della frequenza dei piani possa comunque aiutarci a cogliere, molto intuitivamente, alcune costanti dello stile di Mizoguchi.


Tipologia Normalizzate %
Primissimi piani 0 0 0
Primi piani 0 0 0
Mezzi primi piani 5 16,9 3,38
Mezze figure 12 40,56 8,11
Piani americani 8 27,04 5,4
Figure intere 15,5 52,39 10,48
Campi medi 69,5 234,91 46,98
Campi lunghi 23 77,74 15,55
Campi lunghissimi 6 20,28 4,06
Inserti 3 10,14 2,03
Didascalie 6 20,28 4,06


Dello stesso grafico, basato sulla scala dei piani da noi adottata (11 elementi), è forse utile proporre anche una versione adattata alla scala dei piani proposta da Barry Salt/CineMetrics (8 elementi), in cui piani americani e figure intere sono raggruppati come Medium Long Shot, campi medi e campi lunghi come Long Shot e inserti e didascalie compongono la categoria Other. Nonostante una certa perdita di precisione, disporre di un grafico "normalizzato" permette infatti, potenzialmente, un confronto diretto con altri studi.


Tipologia Normalizzate %
Big Close Ups 0 0 0
Close Ups 0 0 0
Medium Close Ups 5 16,9 3,38
Medium Shots 12 40,56 8,11
Medium Long Shots 23,5 79,43 15,89
Long Shots 92,5 312,65 62,53
Very Long Shots 6 20,28 4,06
Other 9 30,42 6,09


Ciò che comunque appare ovvio, qualsiasi grafico si guardi, è che Mizoguchi nell'inquadrare preferisce mettere una certa distanza fra sé e il personaggio, evitando in pratica ogni sorta di piano ravvicinato (che pure si sarebbe adattato al soggetto melodrammatico) e ricorrendo al contrario a campi medi quando non a campi lunghi. Nessun dubbio, quindi, che ci si trovi davanti a una precisa scelta estetica, che merita poi di essere debitamente interpretata.

Altre varianti stilistiche di cui tenere conto, sempre relative al tipo di inquadratura scelta, sono rispettivamente l'utilizzo del controcampo e quello della soggettiva. Due etichette che, per la verità, definiscono la singola inquadrature rispetto a qualcos'altro (cioè rispetto a un'inquadratura precedente) e non sempre sono di facile applicazione. Si tratta inoltre, come spiega Salt [1], di valori molto delicati da comparare, giacché film molto simili per genere e periodo fanno di queste tecniche un utilizzo spesso molto diverso, da ricondursi a un'impostazione strettamente personale del modo di filmare. Una loro analisi diacronica, quindi, mette in luce una costante nel lavoro del regista ma, al contempo, non è facilmente contestualizzabile in uno scenario più ampio.
Forniamo comunque, di seguito, i valori per Zangiku Monogatari:

Controcampi: 10 = 7,04%
Soggettive (comprese le semisoggettive): 7 = 4,93%



Note
1. Barry Salt, Film Style and Technology: History and Analysis, Starword, London, 1992 (2a edizione), pp. 236-237.