Average Shot Length Fra le variabili stilisticamente caratterizzanti la durata delle inquadrature è la più semplice da ottenere e, insieme, la più rilevante: quella che meglio distingue un autore e maggiormente influenza, come vedremo, gli altri tratti caratteristici. Il metodo più elementare per ottenere il valore medio che ci interessa (ASL: average shot length) consiste nel dividere la durata del film per il numero di inquadrature che lo compongono, escludendo di regola i titoli di testa e di coda (che, pur facendo parte del testo, sono di solito montati secondo altri criteri). Il risultato così ottenuto è un valore numerico statico, in secondi di proiezione o metri di pellicola, direttamente comparabile con quello di altri film.
Il primo risultato di indubbio valore è di aver trasformato l'ASL da valore statico in rappresentazione dinamica dell'evolversi del film:
Nella tabella in calce al grafico, invece, sono indicati altri valori statici, che ci aiutano però a cogliere alcuni dettagli sull'andamento del montaggio. Il range (in italiano "intervallo" o "gamma") indica lo spazio che separa la lunghezza massima dalla minima (anch'esse in tabella), permettendoci di cogliere l'intervallo all'interno del quale si muovono le scelte del regista, che in questo caso ad esempio sceglie fra un'ampia gamma di possibilità che vanno da 2,6" a 381,3", ma escludono valori al di fuori di questa cerchia. Un discorso a sé merita infine l'ultimo valore, la cosiddetta deviazione standard (standard deviation), che è quello più complesso da calcolare ma anche il più utile. Giuseppe Gigliozzi [1] sottolinea come, se la media ci aiuta a identificare un "centro" del testo, la deviazione standard ne quantifica invece la forza centrifuga, basandosi in pratica sulla media delle differenze fra il valore medio (astratto) e tutti i valori reali. «La deviazione standard, ponendosi attorno al punto centrale del testo (alle varie misurazioni della media), finisce per costruire una specie di fascia all'interno della quale la deviazione non è più infrazione, ma una sorta di norma nella fisiologica molteplicità del testo» [2]. Per contro, tutte le variazioni che infrangono questo valore standard diventano significative ai fini interpretativi: nel nostro caso le inquadrature comprese fra 2,6" (lunghezza minima, in questo caso superiore alla differenza fra valore medio e deviazione standard) e 131,3" (somma del valore medio e della deviazione standard) saranno quindi sostanzialmente nella norma, mentre le inquadrature comprese fra 131,4" e 381,3" saranno presumibilmente interpretabili come precise scelte espressive. Inoltre, l'estensione della deviazione standard (detta anche, in questo senso, cutting swing) ci informa sulla dinamicità del montaggio, cioè sulla sua capacità di scegliere fra lunghezze anche molto diverse fra loro (ciò si verifica, in generale, quando la deviazione standard è superiore alla ASL) [3]. La fascia evidenziata nel grafico, fra 2,6" e 131,3", è quella al cui interno la deviazione dal valore medio (58,6") non è da considerarsi come infrazione. Illustrato il meccanismo di base, sarebbe adesso il momento di applicarlo concretamente al film in analisi. In questo caso specifico, però, si deve premettere che due insormontabili ostacoli pratici impediscono di ottenere risultati approfonditi. Da un lato, infatti, le possibilità comparative sono assai ridotte dall'impossibilità di ricostruire con precisione il contesto linguistico in cui Zangiku Monogatari si colloca, vale a dire il cinema giapponese degli anni Trenta (com'è noto, in massima parte perduto). L'unica comparazione possibile, di indubbia ma limitata utilità, è allora quella con altre opere di Mizoguchi sopravvissute (di cui comunque possediamo quasi soltanto valori medi statici) [4]: Orizuru O-Sen (1935): 7" Gubijinsō (1935): 15" Naniwa Hika (1936): 22" Gion no Shimai (1936): 33" Zangiku Monogatari (1939): 59" Genroku Chūshingura (1941-42): 92" Sanshō Dayū (1954): 26,9" Chikamatsu Monogatari (1954): 30,4" L'altro limite, invece, è connaturato alla stessa impostazione su cui la stilometria si regge: identificare un autore al microscopio, attraverso minuscole variazioni di stilemi comuni (il parallelismo classico è quello con le impronte digitali: altrettanto microscopiche e altrettanto inconfondibilmente caratteristiche). In questo senso l'eccezionalità dell'ASL del film può anche essere quantificata con estrema precisione, ma ciò in fondo non ci dice molto più di quanto fosse precedentemente possibile concludere "a occhio": si tratta di un film dal montaggio eccezionalmente lento. «Per metterla in altro modo, è soltanto se in un film abbiamo più di 200 inquadrature che l'effetto "media" può avere luogo e che si può individuare una continuità tra un film e l'altro nell'opera di un regista, indipendentemente dal soggetto. E naturalmente la durata media dell'inquadratura ha poca rilevanza nel caso di un film come Rope [Nodo alla gola, Alfred Hitchcock, 1948], dove ci sono soltanto quattro tagli nell'intero film» [5]. Detto questo, non va però sottovalutata la possibilità, pur ridotta, di confronti interni al testo, cioè fra sequenze diverse e relativi ritmi di taglio (espressione con cui si traduce l'inglese cutting rate). Una prima occhiata al nostro grafico, infatti, ci permette già di individuare alcuni segmenti in cui la lunghezza delle inquadrature è sensibilmente più breve rispetto alla media. Si tratta delle quattro sezioni evidenziate in giallo e verde, che corrispondono alle scene dei tre spettacoli kabuki e alla parata di barche nel finale.
Il ricorso ai numeri, infine, ci permette di stabilire un'affinità formale, forse meno evidente, fra le tre scene di teatro e la già citata parata finale: se è infatti vero che la situazione, narrativamente, è in parte diversa, l'accostamento è legittimato dal calcolo dell'ASL (23,3"), affine a quella del primo e del terzo spettacolo (24,3" e 20,5").
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